Durante l’intervista iniziale, prima dell’esibizione, si percepisce chiaramente che ci troviamo di fronte a un tipo di voce e stile vocale non convenzionali. Elena non ha una "voce leggera" in senso classico, quanto piuttosto una vocalità atipica, originale, che riesce immediatamente a catturare l’attenzione. Questo è un esempio molto chiaro di quanto il timbro e lo stile vocale possano fare la differenza nel canto.
Nel mondo della musica, e in particolare nel canto, la storia ci insegna che spesso è proprio la voce più “strana” o fuori dagli schemi a diventare riconoscibile, memorabile, e quindi efficace nel trasmettere emozione e lasciare un’impronta.
Tutto questo dimostra una cosa fondamentale: studiare canto non significa omologarsi, né uniformare le voci. L’obiettivo non è cantare "tutti allo stesso modo", ma sviluppare gli strumenti tecnici per costruire un’identità artistica e vocale personale.
Nel caso di Elena, anche elementi che potrebbero sembrare difetti, come una dizione non sempre impeccabile o la tendenza ad articolare poco e tenere la bocca piuttosto chiusa durante l’emissione, diventano tratti distintivi del suo stile. Sono parte del suo modo di comunicare, di esprimersi.
Un altro aspetto interessante è la scelta dell’arrangiamento acustico, con l’ukulele. Questo non solo conferisce un’immagine ben definita e coerente, ma mette in primo piano la voce, facendola emergere in tutta la sua fragilità e intimità.
La vocalità di Elena si muove con naturalezza nel meccanismo 2, sfruttando in maniera efficace il registro di falsetto, con un tono etereo ma espressivo, perfettamente in linea con il mood del brano.
Il pezzo scelto, “Io che amo solo te”, è già di per sé un capolavoro dal forte impatto emotivo. È un brano che appartiene all’immaginario collettivo, che evoca ricordi, nostalgia, un senso di delicatezza e verità. La sua interpretazione, così essenziale e sentita, amplifica tutto questo, soprattutto considerando la giovane età di Elena, che tra l’altro dimostra anche meno dei suoi diciott’anni.
Questa combinazione – l’arrangiamento minimale, la voce peculiare, l’età, il carico emotivo del brano – crea una vera e propria tempesta emotiva. E lo vediamo chiaramente: i giudici si commuovono, qualcuno piange.
Sul finale, anche un momento apparentemente incerto – una nota non pienamente centrata – viene riassorbito e addirittura valorizzato grazie a una progressione armonica efficace: l’utilizzo del quarto grado minore, un espediente spesso usato per intensificare il pathos. E lei riesce a seguirlo anche vocalmente, chiudendo con grande coerenza espressiva.
Tutto questo ci ricorda che il compito di un insegnante di canto oggi non è imporre un unico modo di cantare, ma offrire strumenti, possibilità, alternative. Un bravo vocal coach ti accompagna in un percorso di scoperta della tua voce, aiutandoti a scegliere – anche insieme – le soluzioni tecniche e stilistiche più adatte alla tua identità vocale.